L'attenzione è uno degli argomenti più studiati in numerose discipline scientifiche, tanto che, secondo Posner & Presti (1990, pag. 25) «l'importanza dell'attenzione è data dal suo ruolo unico nel collegare il livello di descrizione mentale dei processi usato nelle scienze cognitive con il livello anatomico comune alle neuroscienze». L'attenzione, infatti, è un fenomeno che può essere descritto a partire da almeno tre livelli di osservazione:
da un punto di vista psicologico l'attenzione può essere descritta (e misurata) in termini di modificazione delle prestazioni di un soggetto normale in determinati compiti sperimentali (Umiltà, 1988, pag. 180; Posner & Presti, 1987, pag. 13);
da un punto di vista neuropsicologico l'attenzione può essere descritta sulla base di osservazioni cliniche e sperimentali su pazienti affetti da lesioni cerebrali; le moderne tecniche di bioimmagine (Corbetta, Miezin, Shulman, Petersen, 1993; LaBerge, 1990; LaBerge & Buchsbaum, 1990) e le misurazioni elettrofisiologiche (Mangun & Hillyard, 1988) hanno arricchito tali osservazioni;
da un punto di vista neurofisiologico l'attenzione può essere descritta nei termini dell'attività neuronale di determinate cellule (Moran & Desimone, 1985; Spitzer, Desimone, Moran, 1988; Petersen, Robinson & Morris, 1987; Desimone, Wessinger, Thomas, Schneider, 1990; Sparks & Groh, 1995);
La neuropsicologia cognitiva
«Nell'ultimo ventennio si è sviluppato un approccio neuropsicologico nuovo, che ha preso il nome di neuropsicologia cognitiva, il cui scopo principale è l'esplorazione dell'architettura funzionale dei processi mentali normali, indagando pazienti affetti da disordini neuropsicologici causati da lesioni cerebrali.» (Vallar, in Denes & Pizzamiglio, 1990, pag. 129).
Secondo Vallar «l'approccio neuropsicologico cognitivo è basato su tre presupposti di base» (Vallar, in Denes & Pizzamiglio, 1990, pag. 130):
assunzione di modularità: l'architettura del sistema cognitivo è modulare;
assunzione di corrispondenza: esiste una qualche corrispondenza tra l'organizzazione funzionale della mente e l'organizzazione neurologica del cervello;
assunzione di costanza: la prestazione di un paziente cerebroleso rispecchia l'attività del complesso delle componenti del suo sistema cognitivo meno le componenti danneggiate.
Se, da una parte, «l'assunzione che ... il sistema cognitivo non vada incontro a una riorganizzazione post-lesionale che ne modifichi l'architettura in modo qualitativo è basata su dati empirici positivi molto scarsi», «l'esistenza di una qualche corrispondenza tra architettura neurologica ed architettura funzionale ... è in accordo sia con la storia della neuropsicologia umana ... che con i dati fisiologici» (Vallar, in Denes & Pizzamiglio, 1990, pag. 135).
Per quanto riguarda il primo vincolo l'assunzione di modularità è probabilmente troppo forte; con questo non intendo sostenere che la mente non sia modulare ma che, anche se non lo fosse, ciò non comprometterebbe la legittimità della neuropsicologia cognitiva. Un'assunzione più debole ma molto più solida è quella della non equipotenzialità del cervello (ovvero il rifiuto dell'ipotesi di Laschley) .
Il sodalizio fra psicologia e neuropsicologia che ha portato alla neuropsicologia cognitiva è giustificato dai vantaggi che ognuna delle due discipline può offrire all'altra:
la psicologia sperimentale può essere utile alla neuropsicologia in quanto l'utilizzo di strumenti sperimentali migliora notevolmente le capacità di diagnosi e di misurazione quantitativa dei deficit e delle prestazioni dei pazienti, raffinandone le capacità discriminative e rendendo possibile una ridefinizione dei quadri sintomatologici; i modelli psicologici possono inoltre essere utilizzati nell'interpretazione dei sintomi, rendendo possibile una interpretazione funzionale della lesione;
la psicologia sperimentale, a sua volta, vede nella neuropsicologia il luogo privilegiato di verifica (o di falsificazione) dei propri modelli. Uno dei criteri più salienti di veridicità di un modello consiste infatti nella sua capacità di prevedere il comportamento patologico.
Dalla macroanatomia alla microfisiologia
La neuropsicologia cognitiva colloca le proprie descrizioni ad un livello di architettura funzionale, e la relazione di corrispondenza viene stabilita fra funzioni cognitive e loci (macro)anatomici del cervello.
Il fenomeno attentivo può, però, essere descritto anche in termini neurofisiologici; quale importanza assumono questi dati nella formulazione di un modello esplicativo dell'attenzione? E' possibile un approccio integrato al problema che utilizzi dati di carattere psicologico e neuropsicologico assieme a descrizioni del comportamento dei singoli neuroni? Detto in altri termini, che senso ha parlare di «integrative neuroscience»? (Sparks & Groh, 1995?; Posner, 1992).
I possibili atteggiamenti di fronte alla proposta di integrazione del livello (neuro)psicologico con quello microfisiologico possono essere i seguenti:
a) l'integrazione fra i due livelli è assolutamente inutile, in quanto il livello di descrizione proprio delle scienze cognitive è quello dell'architettura funzionale (Pylyshyn, 1984, pag. 92) e la relazione fra macchina fisica e macchina virtuale è estremamente debole (Fodor & Pylyshyn, 1988) ;
b) l'integrazione fra i due livelli può essere considerata utile ma non necessaria: una descrizione a livello dell'architettura funzionale è sufficiente ed i dati neurofisiologici possono al massimo costituire degli utili indizi;
c) l'integrazione fra i due livelli è necessaria, in quanto l'architettura fisica condiziona in maniera pesante le prestazioni della macchina virtuale (McClelland, Rumelhart & Hinton, in Rumelhart & McClelland, 1986, pag. 12).
Stabilire chi ha ragione va oltre gli scopi di questo lavoro. Ciononostante, nei prossimi capitoli faremo delle assunzioni piuttosto forti proprio in merito al rapporto fra micro- e macroarchitettura: si sosterrà infatti che lo scopo dell'attenzione selettiva spaziale è quello di risolvere alcuni problemi relativi alla codifica dell'informazione (binding problem, population coding) nei compiti di identificazione e programmazione motoria. Se accettiamo questa ipotesi dovremmo dedurre che la microarchitettura, nei termini del tipo di codifica dell'informazione da parte delle mappe neuronali, condiziona pesantemente il funzionamento della macchina virtuale.