In questo lavoro il problema dell'attenzione selettiva spaziale verrà affrontato attraverso il cosiddetto approccio computazionale. Tale 'etichetta' può essere utilizzata in due differenti accezioni:
affinché una teoria sia computazionale in senso debole è sufficiente che rispetti il criterio di computabilità;
affinché una teoria sia computazionale in senso forte è necessario che il problema sia affrontato in base all'epistemologia prescrittiva dei tre livelli di Marr.
Nel paragrafo 2.1 definiremo il criterio di computabilità; nel paragrafo 2.2 introdurremo la teoria computazionale dei tre livelli di Marr; nel paragrafo 2.3 la teoria di Marr, che si riferisce alla progettazione di un sistema artificiale, verrà adattata allo studio die sistemi biologici.
Il criterio di computabilità
«Lo scopo della scienza cognitiva è di spiegare come funziona la mente. Parte della forza di questa disciplina risiede nella teoria della computabilità, poiché se una spiegazione è computabile, allora è coerente a prima vista e non dà troppe cose per acquisite. Se poi è la teoria giusta oppure no dipende da come si adatta ai fatti, ma almeno sarà riuscita ad evitare vaghezza, confusione e la fascinazione mistica di vuote formule verbali» (Johnson-Laird, 1990, pag. 31).
Il criterio di computabilità è un criterio epistemologico secondo cui, per essere scientifica, una teoria della mente dovrebbe essere descrivibile nella forma di un algoritmo . Più precisamente il criterio di computabilità è sufficiente (anche se non necessario) affinché una teoria della mente possa considerarsi scientifica.
Nella sua accezione debole l'approccio computazionale ha, nei confronti della psicologia, un rapporto in qualche modo paragonabile a quello che intercorre fra la matematica e la fisica: la descrizione algoritmica costituisce un linguaggio formale nel quale le funzioni psicologiche possono essere tradotte.
La teoria computazionale di Marr
La progettazione di un sistema artificiale deve avvenire, secondo Marr (1985), attraverso differenti livelli di analisi:
- al primo livello (livello della teoria computazionale) la prestazione del meccanismo è definita in termini funzionali, specificandone le proprietà formali e valutandone l'efficacia. Il processo è definito esclusivamente dai vincoli a cui è soggetto, e dunque due meccanismi che compiono la stessa operazione sono, a questo livello, equivalenti. La teoria computazionale deve dunque chiedersi:
a) che cosa fa il sistema;
b) perché lo fa, ovvero qual è lo scopo della computazione;
- al secondo livello (livello della performance) il meccanismo è definito in termini di algoritmo e di rappresentazione. A questo livello il modello si propone di definire come la computazione avvenga:
a) la definizione dell'algoritmo consiste nella specificazione delle operazioni necessarie ad eseguire il processo;
b) la definizione della rappresentazione consiste nella specificazione della codifica delle informazioni coinvolte nel processo;
- al terzo livello (livello dell'hardware) si stabilisce come la rappresentazione e l'algoritmo possano essere realizzati nell'architettura fisica del meccanismo.
I tre livelli nella integrative neuroscience
La teoria di Marr si riferisce alla progettazione di sistemi artificiali. Affinché una funzione biologica possa essere analizzata nei tre livelli è necessario che vengano stabilite due questioni: la possibilità di affrontare la questione in termini di scopi e la relazione fra secondo e terzo livello (algoritmo e sistema nervoso centrale).
Gli 'scopi' del meccanismo
«... una delle proprietà fondamentali caratteristiche di tutti i viventi è quella di essere oggetti dotati di un progetto, ... proprietà alla quale daremo il nome di teleonomia. ... Tutti gli adattamenti funzionali degli esseri viventi ... realizzano progetti particolari che si possono considerare come aspetti o frammenti di un unico progetto primitivo, cioè la conservazione della specie. ... Tutte le strutture, le prestazioni, le attività che concorrono al successo del progetto essenziale saranno quindi chiamate 'teleonomiche'.» (Monod, 1970, pag. 22 e 27).
A livello della teoria computazionale un meccanismo viene definito in base allo scopo per cui viene progettato. Sebbene sia del tutto naturale attribuire uno scopo ad un meccanismo artificiale è utile spendere alcune parole in merito alla legittimità di una simile attribuzione alle funzioni biologiche. In merito a questo argomento assumeremo la posizione espressa dal biologo Jacques Monod e riassunta nella precedente citazione; se le strutture o le funzioni proprie degli esseri viventi sono, direttamente o indirettamente, finalizzate alla sopravvivenza dell'individuo e della specie, la loro comprensione implica una spiegazione formulata anche in termini di determinismo teleologico : nel nostro caso una teoria dell'attenzione deve spiegare anche perché l'attenzione esiste, ovvero lo scopo del meccanismo.
Le risorse del meccanismo
Una volta stabilito lo scopo di una funzione è necessario definire le risorse di cui dispone. Nella progettazione ex novo di un meccanismo è possibile scegliere la macchina che meglio si addice ad eseguire il progetto; ma il nostro fine non è quello di costruire un meccanismo nuovo ma di capire un meccanismo già dato, e per fare questo dobbiamo determinare le risorse di cui esso può disporre, se non altro per eliminare, da subito, ipotesi non plausibili. La sequenza logica propria della progettazione di un sistema artificiale viene dunque rovesciata nello studio di un sistema biologico: in questo caso la macchina fisica è già data ed essa costituisce un vincolo al quale un modello computazionale si deve attenere.
E' interessante notare come le teorie dell'attenzione siano da sempre sensibili a questo fatto: le teorie classiche (non a caso definite teorie dell'attenzione per risorse limitate) identificano il limite nel numero di processori, la features integration theory nel tipo di codifica delle informazioni.