Una delle prime difficoltà nello studio del "processo decisionale" consiste nel riuscire a fornire una descrizione accurata di come un decisore effettivamente si comporti nell'effettuare una scelta; infatti, nella presa di decisione intervengono molti tipi di fattori individuali e contestuali.
Per molto tempo il modello teorico, che ha cercato di spiegare il comportamento decisionale, si è basato su una prospettiva puramente normativa. Tale teoria, rifacendosi all'elaborazione di teorie assiomatiche, cercava di fornire una norma di condotta razionale e le strategie studiate dovevano costituire una descrizione di come il "decisore ideale" si sarebbe dovuto comportare per effettuare una scelta. Il suo rappresentante prototipico è il "Modello dell'utilità' attesa" (Von Neumann e Morgenstern, 1947).
Tale modello, sviluppatasi in ambito economico e dall'analisi dei giochi (Theory of games and economic behaviour, Von Neumann e Morgenstern, 1947), delinea come un decisore, o meglio un ideale individuo razionale, secondo la cosiddetta "razionalità' economica", dovrebbe comportarsi per raggiungere la scelta "ottimale" (Job e Rumiati, 1988). La forza di tale modello consiste nella semplicità' della sua logica di base, che riduce la decisione al risultato di un'elaborazione algebrica di un insieme d'informazioni che si assume il soggetto possieda: cioè la gamma delle possibili azioni che si possono eseguire, le conseguenze per ogni azione, le probabilità' che una conseguenza si verifichi ed il suo valore.
La debolezza di tale modello, se pure elegante per la sua semplicità', consiste nel non considerare i limiti del decisore umano. Infatti, presuppone un individuo che abbia sempre ben delineate le proprie credenze e preferenze rispetto ad una situazione decisionale, e che sia in grado di computarle in maniera estensiva e sistematica per massimizzare l'utilità' attesa attraverso strategie ottimizzanti (Rumiati, 1990).
Non solo è criticabile il fatto che un decisore abbia preferenze chiare e coerenti (March, 1991), ma anche il fatto di non avere considerato i limiti, le influenze generate dai contesti decisionali e dalla capacità limitata del sistema cognitivo del decisore umano di elaborare informazioni (Job e Rumiati, 1988).
La mancanza di validità' empirica e la debolezza di predittività di tale teoria normativa rispetto al comportamento di decisione sono state ampiamente riportate in letteratura.
Si può, quindi affermare che le teorie normative sono inadeguate non solo nel descrivere, ma anche nel predire il comportamento effettivo (Simon, 1981) a causa della loro "insensibilità" rispetto ai fattori contestuali e alla razionalità' del sistema cognitivo.
In quest'ottica, Simon (1957) ritiene essere perfettamente razionale il comportamento di un decisore "che effettua l'analisi delle opzioni finché non ne abbia individuata una che soddisfi un qualche livello minimo di aspirazione".
Da tale modello denominato della "razionalità limitata" sono stati sviluppati altri modelli dnominati "descrittivi" del processo di decisione (Rumiati, 1988) - ad esempio "la teoria dell'immagine", (Beach, Mitchell, 1987) - grazie a cui ci si sposta da un'ottica che esamina come le persone "dovrebbero" decidere a una in cui si studia "come" le persone effettivamente decidono.
Simon (1990, p7) afferma come "il comportamento umano può essere concepito come una forbice le cui due lame sono la struttura ambientale del compito e la capacità computazionale dell'attore".
L'impossibilità di controllare e di manipolare una molte informazioni, dovuta all'interazione tra queste "due lame", porta il soggetto ad adottare una certa strategia decisionale, euristica, che può semplificare il problema, permettendo di raggiungere, se non sempre le scelte ottimali, almeno scelte ragionevoli soddisfacenti, come è sostenuto dal modello di Payne et al (1993).